Nonostante le norme proibizioniste e il divieto di pubblicità i dati aggiornati parlano chiaro.
“Poco stringenti” o addirittura “a maglie larghe”. Con queste definizioni due grandi quotidiani nazionali accusano la politica, nella fattispecie le normative regionali, di essere troppo permissive nei confronti del gioco d'azzardo. Il settore continua a crescere, nonostante i provvedimenti, i decreti e le misure proibizionistiche adottate dal Governo.
La nuova protesta, dopo la pubblicazione dei dati aggiornati, parte ancora una volta da Il Fatto Quotidiano e Avvenire che parlano di 110,4 miliardi di euro come cifra raccolta nel 2019 dal settore dei giochi, dato in crescita del 3,4% rispetto ai 106,8 miliardi del 2018. Per quanto riguarda il comparto del gioco fisico il giro d'affari si assesta sui 74 miliardi, mentre quello dell'online è intorno ai 36 miliardi. L'errore, ancora una volta, è quello di parlare di raccolta e non di spesa, ovvero il dato reale su quanto hanno speso gli italiani e che deriva dalla raccolta complessiva a cui si sottraggono le vincite tornate nelle tasche dei giocatori.
I due quotidiani riportano anche i dati sulle regioni italiane in cui si è giocato di più. In testa alla classifica figura la Lombardia, che conserva la prima posizione con 14 miliardi e mezzo di spesa, seguita dalla Campania, con 7.7 miliardi, e dal Lazio, con 7.6 miliardi. A seguire il Veneto, con una spesa di poco più di 6 miliardi, e l' Emilia Romagna, con 6 miliardi. Questi dati riferiti al 2019, sono sostanzialmente simili a quelli dell'anno precedente nonostante l'entrata in vigore del divieto di pubblicità su giochi e scommesse fortemente voluto dal Governo Conte I e dal Vicepremier Luigi Di Maio. Le regioni hanno potuto regolamentare la situazione con ampia autonomia, facendo numerosi passi indietro, distinguo e differenze. Stando a quanto si legge su Il Fatto Quotidiano la crescita è stata “una corsa senza freni a dispetto del Decreto Dignità che ha vietato la pubblicità del gioco d'azzardo”.
Troppa confusione, troppo caos, troppo ridotti i controlli. “Di certo un ruolo potrebbe averlo giocato anche Agcom – si legge ancora - al quale la legge ha attribuito il compito di monitorare il rispetto del divieto e di comminare le sanzioni (…). Risultato: l'Agcom ha stabilito che non c'è violazione se la pubblicità viene fatta in ottemperanza alla legge o agli atti amministrativi. Proprio come quelli che regolano le convenzioni tra Adm e i concessionari. E che in molti casi prevedono proprio l'obbligo di pubblicità”.
La polemica, insomma, non si placa ancora. Quello che è certo, però, è la salute e la prosperità del mondo del gioco, raccontato ancora, troppo spesso, come malvagio.