“Siamo orgogliosi di aver vietato la pubblicità e le sponsorizzazioni per il gioco d’azzardo. Pensate che sono riusciti ad attaccarci anche su questo. Siamo orgogliosi perché non solo è una piaga sociale che colpisce milioni di famiglie in tutta Italia (per non dire in tutto il mondo), ma – come potete facilmente comprendere da questa notizia – si tratta anche di un terreno fertile per le mafie, per ottenere facili guadagni e riciclare denaro sporco”. Con queste parole, affidate alla sua pagina Facebook, il vice premier Di Maio ha commentato la notizia dell’operazione coordinata dalla Direzione Nazionale Antimafia, che ha portato all’arresto di 68 esponenti di diversi clan malavitosi e al sequestro di beni per circa un miliardo di euro. La montagna ha partorito il topolino?
CONTRASTO ALLA MAFIA O AL GIOCO?
Nelle affermazioni di Di Maio emergono i contenuti programmatici relativi all’atteggiamento che il Governo ha assunto nei confronti del settore del gioco d’azzardo. Fin dai primissimi provvedimenti, inseriti del Decreto Dignità, l’esecutivo gialloverde ha dato inizio ad una battaglia senza quartiere al nuovo nemico, battaglia poi proseguita anche con la più recente manovra. Ciò si va ad aggiungere alle misure adottate dalle amministrazioni locali, che vanno dal distanziometro ai limiti orari; in questo contesto, il divieto di pubblicità è stata la calata di scure definitiva. Pare quasi che l’avversario da abbattere non sia tanto la mafia, quando il gioco d’azzardo (quello degli operatori privati, of course, perché il discorso muta nel caso della Lotteria di Stato).
IL PROIBIZIONISMO E’ LA SOLUZIONE?
Naturalmente la risposta degli operatori del settore non si è fatta attendere, ed è stata caratterizzata da una serie di azioni, che vanno dalla petizione rivolta a Mattarella ad una mobilitazione nazionale, oltre a pressanti richieste di apertura di tavoli con il Governo. Se l’intento di Di Maio è chiaro, – porre un argine alla piaga sociale della Ludopatia - altrettanto limpida è la posizione del mondo legato al gioco. Misure di stampo protezionista non hanno mai prodotto soluzioni efficaci e durature, ed in questo caso rischiano di fare più danni della peste. Quanto avveniva con la rete delle scommesse clandestine, talmente ramificata da richiedere l’ausilio di un collaboratore di giustizia, è l’emblema del buco nero in cui rischia di infilarsi il governo.
LA STRADA GIUSTA
Lo ha sottolineato anche il procuratore Antimafia Cafiero De Raho, l’azione del legislatore non sta andando nella giusta direzione. Il governo, intervenendo come un boia, sta sostanzialmente mettendo sullo stesso piano il gioco illegale e legale, rendendo indistinguibile il secondo dal primo. Certamente Di Maio ha ragione nel dire che la mafia trova nel settore delle scommesse un terreno fertile, ma ciò avviene nel momento in cui viene tolta la valvola di salvaguardia per il giocatore.
Un giocatore consapevole dei rischi connessi al gioco, siano essi economici e sociali, è una persona in grado di discernere le opzioni lecite da quelle illecite. Vietare la pubblicità significa sottrarre al giocatore la capacità di riconoscere la trappola, dandogli un lasciapassare che conduce direttamente tra le braccia delle organizzazioni malavitose. L’operazione della DIA ha svelato un mondo in cui tecnologia e scommesse funzionavano alla perfezione per sottrarre allo Stato ampie risorse economiche. Non va dimenticato, infatti, che dal gioco provengono circa 10 miliardi di gettito fiscale, terza voce di bilancio statale.
Lasciarlo nelle mani della mafia è una scelta che il governo non può permettersi di fare.