È nota l’avversione che il Governo nutre nei confronti del gioco d’azzardo, almeno stando a quanto palesato fin qui, nonostante l’industria del settore sia una delle principali voci nel bilancio statale (terza per entrate con un gettito di circa 10 miliardi annui). Le amministrazioni locali, a partire dal livello regionale e poi a cascata fino ai comuni, hanno sostanzialmente recepito tale stato di guerra fredda intervenendo in maniera invasiva, ma non si sa quanto efficace, per regolamentare il più possibile il mondo del gioco, dando vita ad una selva burocratica all’interno della quale è molto complicato districarsi.
RISERVA DI LEGGE - Tale invasività normativa, va detto, non è neppure tanto legittima. La regolamentazione del gioco d’azzardo, infatti, spetta in via esclusiva alla legislazione statale, ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione. L’intervento degli enti locali, dunque, porta in dote una contraddizione di fondo da non sottovalutare. A monte degli interventi di comuni e regioni, tuttavia, sussistono motivazioni condivisibili, che tutto sommato trovano un diffuso consenso nell’opinione pubblica. Ecco quindi che il cosiddetto “distanziometro” viene accolto come uno strumento per tutelare i minori dal temuto mondo del gioco; un discorso simile si può replicare per gli altri paletti, quali ad esempio la limitazione oraria. A non esser chiara è l’efficacia di una siffatta calata di scure, ed infatti le retromarce in tal senso non sono mancate.
FACCIA A FACCIA – Il punto debole della vicenda risiede nella verbosità dell’approccio da parte del Governo, a cui non è seguito un intervento regolativo su scala nazionale. Ad esempio, un “distanziometro nazionale" avrebbe avuto perlomeno il vantaggio di sbrogliare la matassa legislativa, adottando un criterio uniforme che avrebbe reso più facile la vita tanto alle amministrazioni, quanto agli operatori. Altro discorso, naturalmente, è valutare gli effetti sul contrasto al problema sociale principale, ossia quello della Ludopatia. Numerosi studi hanno mostrato la sterilità di un muro contro muro dal sapore proibizionista, il cui unico e perdurante risultato non può che sostanziarsi nella sconfitta di entrambi i contendenti, e il ritorno in auge del gioco illegale, che senza dubbio non è foriero di benefici né sociali, né economici.
LAVORO E RIFORME - La risposta degli operatori del gioco d’azzardo non è stata affatto tenera. I ricorsi in tribunale hanno fatto scattare il campanello d’allarme anche alla Corte Costituzionale, che dovrebbe pronunciarsi in merito alle regolamentazioni regionali, con il rischio di rendere ancora più fangoso il terreno dello scontro. D’altro canto, in gioco ci sono anche circa 150.000 posti di lavoro, che gli operatori hanno messo sul piatto della bilancia per dare maggiore peso alle loro rivendicazioni. A tal proposito, per il 16 novembre è prevista una mobilitazione da parte dei Sindacati, e appoggiata da Sistema Gioco Italia, l’associazione delle imprese del settore. Il fine è quello di fare pressione sul governo affinché corregga almeno parzialmente il tiro. In attesa che lo stallo possa essere sbloccato, in maniera vantaggiosa per tutti, dalla saggezza del legislatore.