“Quella da gioco d’azzardo è considerata una 'addiction', dipendenza cioè derivante non da una sostanza. I ricercatori si stanno occupando anche di internet addiction, una categoria oggetto di studi senza una collocazione diagnostica. Il giocatore d’azzardo è considerato tale se ha giocato almeno una volta nel corso dell’ultimo anno. Il gioco d’azzardo si caratterizza per il fatto di non essere basato sulla casualità e sul denaro: si vince per caso. Il Comportamento diventa problematico quando l’individuo comincia a distrarsi dalle sue attività quotidiane per dedicarsi al gioco”.
Sono state queste le parole proferite da Adele Minutillo, ricercatrice presso l’Istituto Superiore della Sanità, durante la Tavola rotonda che si è tenuta presso l’Università degli Studi di Salerno ed organizzata dall’Osservatorio Internazionale sul Gioco, chiarendo quella che è la definizione di dipendenza da Gap.
Analizzando il profilo dei giocatori a rischio dipendenza, la dottoressa Minutillo ha spiegato che hanno tra i 14 e i 25 anni, non studiano né lavorano. Non hanno amici e trascorrono gran parte della giornata nella loro camera. Parlano a stento con genitori o parenti. Dormono durante il giorno e vivono di notte per evitare il confronto con il mondo esterno. Si rifugiano tra i nella Rete e nei social network con profili fittizi, unico contatto con la società che hanno abbandonato.
“Li chiamano hikikomori, termine giapponese che significa ‘stare in disparte’. Nel Paese del Sol Levante hanno da poco raggiunto la preoccupante cifra di un milione di casi, ma è sbagliato considerarlo un fenomeno limitato soltanto ai confini giapponesi”.
Parlando di giochi spesso vengono utilizzati termini inappropriati che vincolano informazioni fuorvianti.
“Abbiamo un documento dell’Accademia della Crusca nel quale si legge che il termine ludopatia non esiste. Non è altro che una traduzione italiana di gambling, che in inglese ha un’accezione diversa. In Italia parliamo di disturbo da gioco d’azzardo solo quando è stato realmente diagnosticato. In tutti gli altri casi, si deve parlare di giocatore problematico o a rischio o di giocatore sociale”, specifica Minutillo.
Per stabilire se si tratta di un comportamento problematico o a rischio esistono degli screening che offrono una misura della problematicità o del rischio del comportamento.
“La penultima ricerca del CNR diceva che in Italia ci sono circa 900mila giocatori a rischio. Il titolo sui giornali è diventato “900mila persone malate di gioco. In realtà non è così. Il comportamento a rischio non è ancora un comportamento francamente patologico. Di queste 900mila persone, il CNR ha anche detto che circa 200mila hanno un comportamento problematico, sfuggito cioè al controllo dell’individuo ma ancora non diagnosticato. L’informazione non deve essere fuorviante ed è importante utilizzare le giuste terminologie”.
Sul tema distanziometro.
Secondo la dottoressa Minutillo, dal punto di vista sanitario, non è dato sapere se il distanziometro funziona davvero: “abbiamo modelli statunitensi e australiani ma distanti culturalmente da noi”. Ha aggiunto che l’ISS sta elaborando una ricerca per raccogliere dei dati in questo senso.
“Al momento stiamo girando l’Italia organizzando dei Focus Group, parliamo con persone che soffrono per il Gap, e quello che ci dicono è che cercano i luoghi di gioco più lontano possibile dalla loro casa. Il senso di colpa e la vergogna gli fa preferire luoghi di gioco lontani. Se questo fosse vero e confermato da ricerche confermerebbe quanto detto prima. Per ora è una sensazione, aspettiamo di avere prove solide e valide”.
Sul tema distanziometro è intervenuto l’avvocato Stefano Sbordoni, giurista e esperto di gaming.
“I regolamenti comunali hanno imposto il distanziometro avvalendosi di leggi regionali che gli consentono questa attività specifica, esercitando quella competenza concorrente sulla tutela della salute che le Regioni possono attuare a norma dell’art. 117 della Costituzione. A mio avviso questa tutela è stata un po’ abusata per la discriminazione che sta subendo il gioco. Si è lasciato libero spazio agli enti locali tanto da arrivare al distanziometro che non trova logica. Un effetto negativo del distanziometro è quello che proibendo, creo uno spazio aperto che diventa terra di nessuno, nel quale si inserisce anche l’illegale o comunque, chi vuole giocare, non farà altro che farlo in altre sedi”.
Gli fa eco il prof. Paolo Diana, sociologo dell’Università di Salerno: “Le vecchie categorie di spazio e tempo non esistono più, quindi il distanziometro sembra una cosa assurda. La distanza spaziale non coincide con quella sociale. Tra l’altro, giocare online significa collegarsi con qualsiasi gioco. Sarebbe interessante capire quale sia la correlazione tra un luogo sensibile come il compro oro ed il bancomat e la compulsività del gioco”.